La tecnologia maggiormente adoperata per la produzione di acqua potabile con impianti di
dissalazione è quella ad “osmosi inversa”.
Con questo processo, l’acqua di mare viene desalinizzata mediante membrane che filtrano i volumi
idrici prelevati, lasciando da una parte un’acqua molto povera di sali (che viene successivamente
mineralizzata per raggiungere i parametri di potabilità previsti dal d.lgs. 31/20011
, ed immessa nelle
reti ad uso consumo umano), e dall’altra un’acqua di scarto, detta salamoia, che contiene una
considerevole concentrazione di sali (quantomeno doppia rispetto a quella originaria del mare).
Per quanto attiene al “prodotto” della dissalazione,e cioè l’acqua destinata al consumo umano,
recenti esperienze operative dimostrano che la concentrazione di boro supera spesso i valori
previsti dai parametri della legge (si aggira intorno ai 4-5 mg/L rispetto a 1 mg/L ammesso).
Il Ministero della Salute, Direzione generale della prevenzione sanitaria, in una recente (2016)
pubblicazione sul boro nell’acqua potabile, indica che il modo ottimale ed economico di ridurre le
concentrazioni di boro è la miscelazione con acqua a basse concentrazioni del parametro medesimo.
Lo stesso Ministero della Salute2
, nella pubblicazione del 2016 testé richiamata riferisce di effetti
indesiderati o comunque potenzialmente pericolosi per la salute, derivanti dall’eccesso di boro. Se non remineralizzata correttamente, un ulteriore effetto dell’immissione di acqua dissalata
(tecnicamente aggressiva) nelle condotte di distribuzione, è il possibile distacco di materiale dalle
tubazioni (caso Ventotene), specie allorquando le tubature sono obsolete.
La corrosione comporta
che all’utenza giungono acque torbide e ferruginose, inutilizzabili ai fini domestici e potabili. Se le
tubature sono nuove non si percepiscono effetti in tempi brevi, ma l’integrità della rete di
distribuzione può essere compromessa se non vi è un adeguato monitoraggio.
In letteratura ci sono ricerche sugli effetti sull’uomo dell’assunzione di acqua dissalata aggressiva.
Una ricerca effettuata sui ratti (King Saud University - Arabia Saudita3
) segnala risultati
preoccupanti, evidenziando anomalie e disfunzione sullo stato di salute dei modelli animali
impiegati nello studio.
Quanto ai profili più specificamente ambientali, la salamoia viene scaricata direttamente a mare,
senza subire alcun trattamento, attraverso delle condotte sottomarine. Insieme alla salamoia vengono scaricati in mare anche i prodotti chimici di lavaggio delle membrane del dissalatore (tra
cui biocidi, antiscalant, coagulanti, etc.).
Allo stato attuale, la carenza di specifiche normative sullo scarico a mare di questi reflui, fa sì che:
• non esista l’obbligo di un piano di monitoraggio ambientale nelle zone interessate dagli
scarichi degli impianti;
• il dimensionamento e la lunghezza delle condotte sottomarine di scarico degli impianti
esistenti (cfr. Lipari4
, Vulcano, Ventotene, Ustica) non scongiurano alterazioni
significative e negative dell’ecosistema marino;
• non esista obbligo di pretrattamento dei reflui (salamoia e chemichals), prima dello scarico
in mare.
CRITICITA’ TECNICHE E GIURIDICHE DEGLI IMPIANTI DI DISSALAZIONE
DELL’ACQUA MARINA.
Il Codice dell’Ambiente non contiene alcun riferimento alla dissalazione, né evidenzia quali
possano essere i limiti parametro che lo scarico della salamoia nei corpi ricettori costieri debba
rispettare sia rispetto all’aumento di salinità generato, che rispetto ai chemicals utilizzati per la
gestione degli impianti.
La tabella 3 allegato 5 parte III del d.lgs. 152/2006, che evidenzia i parametri che gli scarichi
industriali in mare devono rispettare, contiene una deroga (vedi nota n. 3 alla citata tabella) per i
cloruri, a voler intendere che il legislatore tollera esplicitamente un aumento indiscriminato della
salinità del corpo idrico recettore.
Il Codice dell’Ambiente sembrerebbe quindi consentire un aumento senza limiti della salinità del m
recettore, a seguito degli scarichi derivanti dal processo di dissalazione.
Il dato normativo richiamato si pone in contrasto sia con i più fondamentali principi di protezione
dell’ambiente e del mare, sia con i limiti normativi dettati altrove dal legislatore,a protezione del
livello di salinità del corpo idrico recettore (cfr. ad es. nella acque destinate alla vita dei molluschi
ex art. 88 t.u.).
La normativa internazionale invece è molto più specifica e dettagliata al riguardo.
L’attuale“vuoto legislativo” comporta:
• che l’attività di gestione del processo di dissalazione abbia un notevole impatto
inquinante sull’ambiente marino;
• che l’inquinamento da scarico di salamoia pur non sanzionato specificamente dalla
normativa ambientale potrebbe indurre l’autorità giudiziaria a procedere al sequestro
o al fermo degli impianti;
• che le imprese del settore della dissalazione, nel proporre progetti o gestione di
impianti, trovano ferme opposizioni e protese da parte delle comunità locali (vd
Ventotene, Elba, Ponza).
Alla luce dei documenti rinvenuti, riteniamo che sussista la necessità di colmare la carenza di regole
sulla dissalazione per gli impianti a terra, attraverso un intervento legislativo che preveda:
• una distanza minima dalle coste delle condotte di scarico tale da minimizzare gli
effetti negativi e significativi sull’ambiente marino;
• l’osservanza ed analisi preventiva di specifici parametri prima di allocare lo scarico
della condotta (es.: batimetria, zone balneari, correnti marine, prateria di posidonia,
eventuali zone vulcaniche, fangose etc.);
• l’obbligo di una valutazione di impatto ambientale iniziale, e un monitoraggio
dell’ecosistema marino in prossimità della presa di carico e dello scarico del
dissalatore (prima e durante il processo di desalinizzazione);
• l’obbligo di procedere ad una valutazione di impatto sanitario, dell’interazione tra
l’acqua prodotta dall’impianto, lo stato delle tubazioni e la salute umana;
• l’obbligo di smaltire i prodotti chimici di lavaggio come “rifiuti liquidi”, ed il divieto
di scaricarli tal quali a mare insieme alla salamoia.
L’ORIENTAMENTO DELLE COMUNITA’ LOCALI SULLO SCARICO A MARE DELLA
SALAMOIA E DEI PRODOTTI CHIMICI ADOPERATI PER IL LAVAGGIO ED IL
CONTROLAVAGGIO DELLE MEMBRANE.
La Città Metropolitana di Messina, nel rispondere ad un quesito in merito al rilascio in mare della
salamoia e dei prodotti chimici di lavaggio delle membrane, evidenzia:
• quanto alla salamoia: che bisogna verificare il rispetto dei parametri indicati dal d.lgs.
152/2006, che non prevede limiti per lo scarico dei cloruri;
• quanto ai prodotti chimici: che essi, contenendo sostanze pericolose, non possono essere
rilasciati in mare, ma vanno smaltiti come rifiuti liquidi, secondo le procedure previste dal
d.lgs. 152/2006.
Cfr: Nota della Città Metropolitana di Messina (Me), prot. 3391, del 30/05/2018; schede tecniche e
di sicurezza dei prodotti chimici di lavaggio e controlavaggio di filtri e membrane degli impianti di
dissalazione.
4
Il Ministero dell’Ambiente, nel rispondere ad un quesito del Comune di Ventotene sulla legittimità
e compatibilità ambientale dello scarico del dissalatore locale recentemente messo in funzione dal
gestore del servizio idrico, così rispondeva:
“Nel riscontrare la nota di codesto comune, concernente la realizzazione dell’impianto del
dissalatore in Ventotene, si rappresenta che rispetto agli aspetti individuati come sensibili:
la salamoia non rappresenta un’inquinante, ma solo un concentrato di sali già presenti nell’acqua
di mare. La sua immissione in mare può essere effettuata a mezzo di diffusori posizionati in zone
idonee in modo da massimizzarne la diluizione in mare onde evitare pregiudizio per l’ambiente
marino.
Le acque derivanti dalla pulizia delle membrane, sebbene tale operazione sia da considerarsi
saltuaria, qualora costituite da sostanze chimiche potenzialmente pericolose, andrebbero stoccate e
trattate come rifiuti liquidi”.
L’assenza di una regolamentazione chiara ed univoca sulla materia degli scarichi e degli effetti della
produzione di acqua dissalata, provoca interrogativi e forti perplessità presso le comunità interessate
dagli impianti, per motivazioni di carattere ambientale e sanitario (v. Ventotene, Ponza, Isola d’Elba
etc..).
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