Il leudo (*) Felice Manin fu varato nel 1891 a S. Michele di Pagana (Rapallo), e più precisamente in località Trelo, dallo scalo del padre del Mastro d'Ascia Attilio " Tilio " Valle. Secondo il Registro Navale del 1948 si tratta di una barca di 24,89 tonnellate di stazza lorda e 18,92 di netta, avente le seguenti dimensioni di stazza: m. 15,60 x 4,86 x 1,87. Nel 1893, benchè di proprietà di Emanuele Ghio " Cumbinemu " di Renà (Riva Trigoso), appare sotto gli armi di Teresa Lena e Teresa Stagnaro, famigliari di Emanuele, mentre in seguito figurerà come armatrice Maria Ghio di Giovanni. Come ha raccontato il nipote Evaldo Chiappara, lo stesso armatore gestì pure il Leudo Enrico, la Pareggia Battista e la Scuna Alba.
(*) Il leudo è un'imbarcazione a vela da lavoro adibita principalmente al trasporto e talvolta alla pesca. Sua caratteristica peculiare è quella di essere una barca alturiera operativa a partire dalle spiagge e quindi autosufficiente poiché non necessita di alcuna attrezzatura portuale. Le dimensioni, la forma e l'attrezzatura sono funzionali a questa particolarità di esercizio che richiede un alaggio rapido anche a pieno carico.
La lunghezza dello scafo si aggira sui 15 - 16 metri, la larghezza è di circa 6 metri, il puntale non raggiunge i 2 metri, mentre l'altezza di costruzione supera i 4 metri. La stazza lorda oltrepassa di poco le 20 tonnellate mentre la capacità di carico può raggiungere anche le 25 - 30 tonnellate di peso.
L'attrezzatura velica è costituita da un solo albero a pioppo, cioè in un solo pezzo, fortemente inclinato verso prua e con la testa a calcese e la cui lunghezza, dal piede appoggiato sulla scassa, è leggermente inferiore a quella dello scafo.
L'albero, privo di crocette e di sartiame fisso, è armato con una vela latina retta da un'antenna composita lunga quasi 20 metri e costituita normalmente da tre elementi. La velatura è completata da un fiocco di grandi dimensioni murato su di un bompresso rientrabile, la cui lunghezza può superare i 6 metri.
La forma dello scafo ricorda quella del gozzo ligure, con la prua alta leggermente protesa in avanti, il dritto sporgente a formare la classica pernaccia, un cavallino longitudinale accentuato e la poppa a cuneo con il dritto pressoché verticale che porta un timone a barra, sfilabile anche parzialmente, originariamente a calumo, cioè sporgente sotto lo scafo a formare pinna di deriva.
Trasversalmente lo scafo è caratterizzato da un bolzone molto accentuato, cioè da un piano di coperta fortemente bombato, detto a schiena d'asino.Il fondo è abbastanza piano e i fianchi svasati; la loro unione determina un ginocchio marcato nella sezione maestra che si annulla con l'avvicinarsi alle sezioni prodiere e poppiere.
La chiglia, in legno massiccio a sezione quasi quadra, sporge sotto lo scafo per una quindicina di centimetri. Dall'unione fra lo scafo e il piano di coperta, sul trincarino, si innalza un'imponente impavesata che determina un vero e proprio parapetto traforato da una lunga serie di ombrinali semicircolari. Le forme dello scafo sono generalmente piene, più accentuate a prua che a poppa.
Il carico delle stive avviene tramite due grandi boccaporti disposti a proravia ed a poppavia dell'albero mentre all'equipaggio sono riservati gli spazi ricavati alle estremità dell'imbarcazione: il comandante e un aiuto a poppa, nella camera dove, grazie ed un tambuccio, si poteva stare in piedi; gli altri due o tre marinai sotto la prua.
L'aspetto d'insieme dell'imbarcazione è improntato ad una grande armonia di forme e di volumi che la fanno apparire, quando è in acqua, molto più piccola di quanto non sia nella realtà; solo il raffronto diretto con le altre barche restituisce al leudo l'imponenza dei suoi oltre venti metri di lunghezza fuori tutto.
Nessun commento:
Posta un commento