Ci siamo finalmente: quinta tappa, direzione Sud, profondo Sud. La nostra
partenza da Auckland è stata piuttosto atipica. Il posticipo della partenza di
tre giorni, dovuto al ciclone Pam , ha fatto sì che partissimo per la tappa
lasciando un villaggio già completamente smontato, con i soli operai e il nostro
team di terra ad assistere alla nostra partenza, alle prime ore del mattino. In
netto contrasto con la regata inport di sabato, ove centinaia di persone
facevano il tifo, godendosi una giornata all'aperto in una Auckland baciata dal
sole autunnale, le grida di incoraggiamento più forti, mentre mollavamo gli
ormeggi mercoledì, venivano dai nostri stessi avversari.
Ad ogni cima di ormeggio lascata si poteva percepire il crescendo di una
sensazione di ansia, in parte dovuta alla lunga attesa per questa tappa, ma
anche mischiata ad un senso di eccitazione. Stiamo per affrontare l'ignoto, nel punto più lontano da tutto in cui
l'essere umano possa avventurarsi su questa terra. Sarà freddo, duro,
emozionante, estenuante e veloce, e potremo fare affidamento solo le une sulle
altre.
Perciò, anche se non c'erano bandiere sventolanti, flotte di barche di
spettatori, inni delle squadre suonati a tutto volume, il solito trambusto della
partenza, il cenno silenzioso degli avversari, l'abbraccio lunghissimo del
nostro shore manager, il continuo ripeterci 'andate forte, siate prudenti,
guardatevi le spalle a vicenda' da parte di chi ha vissuto prima di noi questa
esperienza, la sensazione era che fosse proprio questo il modo giusto di
iniziare questa tappa.
A bordo stiamo prendendo il ritmo; dopo un avvio lento, la brezza si è alzata
rapidamente, e così anche lo stato del mare. Le nuvole si stanno facendo più
scure e gli albatross sorvolano la barca, chiaro segno che ci stiamo dirigendo a
sud. Ogni notte che passa aggiungiamo nuovi strati di vestiti, ma sappiamo che
non abbiamo ancora visto niente; ci vuole ancora un giorno di venti leggeri
prima di agganciare il prossimo sistema di bassa pressione, una grande macchia
rossa sui nostri monitor: 35 nodi di vento e anche di più che ci spingeranno
verso sud.
Sfortunatamente sto scrivendo appoggiata ad una bean bag (grande cuscino)
sottocoperta, nel tentativo di ammorbidire l'impatto delle onde sulla mia
schiena dolorante, mentre dovrei essere impegnata in coperta a regolare le vele,
girare i grinder ed aiutare la squadra ad andare forte. Ieri, mentre stavo
regolando la randa con 20 nodi di vento ed onde alte, sono stata sbalzata dal
lato sopravvento della poppa dove mi trovavo appoggiata contro il quadro
strumenti, e sono finita stesa sulla schiena sul lato sottovento della tuga.
Fortunatamente la cima della mia imbragatura di sicurezza ha impedito che l'onda
mi catapultasse troppo lontano, perciò non c'è niente di rotto (a parte il mio
orgoglio!), ma la botta mi ha ridotta piena di lividi, imbottita di
antidolorifici, ed è letteralmente una rottura di scatole!
Essere infortunata a bordo è indicibilmente frustrante. Ti senti
completamente inutile, ed anche colpevole per il lavoro extra che le tue
compagne di squadra devono svolgere per compensare la tua assenza: ad ogni
spostamento di vele e ad ogni movimento di grind mi sento in colpa. In più è
praticamente impossibile riposare o trovare una posizione confortevole. Per lo
meno sto fornendo un po' di intrattenimento a Libby, il nostro navigatore,
mentre cerco di fare stretching nella "posizione del cane", stando a quattro
zampe a fianco della postazione del navigatore (l'unico spazio piano
sottocoperta).
Le ragazze sono eccezionali come sempre: mi danno le medicine e
mi scacciano dalla coperta quando non c'è bisogno di me, ma so che devo uscire
da questa situazione nelle prossime 24 ore. A quel punto staremo volando
nell'Oceano Meridionale, a quel punto ci sarà bisogno di tutte, a quel punto. il
divertimento avrà inizio! (www,teamsca.com)
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