Lo skipper di
Dongfeng Race Team Charles Caudrelier spiega cosa sia il “fattore
francese” che lo ha aiutato a salire al vertice della classifica della
Volvo Ocean Race dopo tre tappe. Sembra proprio che la parola chiave sia
passione. Charles Caudrelier ha scelto di avere quattro
connazionali nell'equipaggio, la loro esperienza e approccio hanno
costituito buona parte del successo fino a questo momento, con il team
franco/cinese in vetta alla classifica overall provvisoria con un punto
di vantaggio. E non solo, le sei matricole cinesi sembrano avere trovato
degli ottimi maestri nei velisti transalpini.
Pochi, prima dell'inizio
del giro del mondo, davano Dongfeng come favorito per la prima piazza a
questo punto e, in parte, anche lo skipper francese condivideva questo
pronostico. Tanto che anche la recente vittoria nella terza tappa lo ha
colto in qualche modo di sorpresa. Caudrelier però non ama riposare
sugli allori, soprattutto a pochi giorni dalla partenza della quarta
tappa, in programma per la prossima domenica, che considera ancora una
delle più ostiche.
“Ricordiamoci di Telefónica” ha detto in un'intervista al sito della regata www.volvooceanrace.com, riferendosi al team spagnoli che nella scorsa edizione dell'evento vinse le prime tre tappe con facilità, ma poi finì quarto. “Non è ancora un successo, dobbiamo aspettare ancora altre tappe, di certo è un buon inizio.”
dice, sapendo tuttavia che i suoi co-equipier francesi, dal navigatore
Pascal Bidégorry, al prodiere Kevin Escoffier (bowman) agli altri
transalpini Eric Peron e Thomas Rouxel non sono certo tipi da mollare
facilmente la leadership. Allora cosa li rende così speciali? Secondo
Caudrelier si tratta della scuola, tutta francese, che inizia a formare
velisti oceanici fin da ragazzi, oltre al fatto che le tante regate
impegnative in Francia costituiscono un ottimo campo pratica.
Eppure, c'è qualcosa in più che Caudrelier pensa dia
ai suoi “Frenchies” come vengono affettuosamente e ironicamente definiti
i velisti francesi dagli anglosassoni, un vantaggio sugli avversari. La
maggior parte di loro hanno iniziato a regatare quando era la passione,
più che il denario, la loro sola forza. “Non so se ho ragione o
torto, ma mi sembra che gli altri, almeno alcuni, considerino la vela
come un vero lavoro. Non sto dicendo che non ci sia passione sulle altre
barche” dice lo skipper. “In Francia di sicuro questo ha
cominciato a essere considerato un lavoro solo da qualche anno, ma prima
era solo una passione. Lo facevamo, e lo facciamo ancora, perché ci
piace. Forse abbiamo un approccio diverso per questo. Non lo facciamo
per il denaro che guadagniamo, ma perché vogliamo.”
“Quando ho cominciato io” continua Caudrelier
“non si trattava di un vero e proprio lavoro, per nessuno. Non
guadagnavamo soldi con la vela, avevamo abbastanza per mangiare, e tutti
i soldi andavano per la barca. Io forse faccio parte della prima
generazione che lo fa come lavoro, la generazione precedente alla mia,
persone che sono la mia fonte di ispirazione come Michel Desjoyeaux,
navigavano per niente. Era solo pura passione. Abbiamo velisti in
Francia che realmente non sanno fare altro nella vita, hanno 50 o 60
anni e vogliono continuare a regatare, a fare il Vendée Globe e tutte le
regate più dure che ci sono. Amano quel che fanno. Penso di non
sbagliare se dico che la Francia è unica da questo punto di vista.
Abbiamo barche diverse, regate diverse e anche sponsor differenti.
Regatare in Francia è fantastico, ci sono tanti eventi, forse anche
troppi. A bordo ho sei francesi, contando me e l'Onboard reporter Yann
Riou, ma avrei potuto trovarne 60. non penso che sia così facile trovare
60 velisti di questo valore negli altri paesi. Di certo rappresentiamo
la vela francese e ne siamo orgogliosi.”

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