domenica 3 novembre 2013

MINI 6.50 - TRANSAT 2013 - IL COMMENTO DI STEFANO PALTRINIERI - Scommettiamo che nel 2015 partiranno in estate?


Quando un anno fa abbiamo saputo del nuovo format abbiamo tutti gioito per il ritorno al percorso tradizionale ma la data avanzatissima della partenza aveva di sicuro fatto aggrottare più di un sopracciglio. Non c’era dubbio che a metà Ottobre le probabilità che ,dopo sei edizioni della MiniTransat partite col vento in poppa,ci si potessero aspettare bastonate da venti occidentali sul tipo di quelle del ’91, ’93 e ’99 erano altissime,ed infatti la realtà ha forse superato la fantasia. Non ce la sentiamo di tirare la croce addosso al comitato di regata per la decisione presa. Forse, a spaccare il capello in quattro, si potrebbe far notare che sancire fin dall’inizio l’arrivo a Gijon, avrebbe ora garantito un gruppo compatto nello stesso porto e, soprattutto,una classifica, ma col senno di poi non si va da nessuna parte. La posta in gioco era altissima ed in questi casi l’eccesso di prudenza non è mai biasimevole. Quanto alle illazioni sulla volontà di penalizzare un’italiano straordinario vincente (ed, aggiungo, un’australiano che stava vincendo tra i Serie) non ci voglio perdere un nanosecondo in più…

Nessuno più di noi porta una conoscenza diretta di quei postacci.
Nel ’99 è stato proprio 40 miglia a nord de l’Estaca De Barras che il gruppo è stato falcidiato e le balise si accendevano a ripetizione come luminarie di Natale. Anche Stefano Pelizza, come Federico Cuciuc,arrivò a Santander… ma lo fece sotto armo di fortuna dopo avere trascorso 4 ore dentro la barca rovesciata. E lui fu di quelli fortunati, che riuscirono a riportare a casa il Mini, pur malconcio.
Quindi, ragazzi, non scherziamo… altro non si poteva fare.
Regata fantasma dunque, ma anche se i suoi risultati sono stati scritti nell’acqua e non contano più nulla abbiamo comunque assistito a due giornate epiche, dal punto di vista metereologico ed agonistico, che non possono non avere lasciato tracce indelebili nei ricordi di chi le ha vissute e di chi le ha seguite. Provo a fissare qualche quadretto, da un punto d vista personalissimo, chissà quanto mai parziale.

Pedote ha compiuto un’impresa.
Non è facile partire coi pronostici appiccicati addosso di forza, quando ogni posizione che non sia la prima può suonare come una sconfitta e lui non ha fallito una mossa. Avrete notato che il colpo da KO non lo ha sferrato solo nel traverso iniziale, potenzialmente assai favorevole allo Scow, ma nella bolina finale, con mare incrociato e di difficilissima interpretazione. Giancarlo ha fraseggiato un bordeggio perfetto e si è scrollato di dosso con prepotenza cagnacci dalle unghie affilatissime, e basta guardare la foto di Boidevezi all’uscita del Raz per darmi ragione. Forza, non perdere concentrazione!

E gli altri italiani?
Secondo me sono stati bravissimi. Facciamo mente locale alle condizioni che hanno vissuto.
Il rinvio di 15 giorni, col prevedibile corollario di difficoltà logistiche e lo stress emotivo, non può non avere influito negativamente sulla loro riserva di energie mentali ed endocrine. Alla partenza era da un mese che non navigavano e sono incappati in un vento a raffiche fino a 25 nodi, il mare residuo di San Giuda, obbligati a bordeggiare in acque relativamente ristrette in mezzo ad 80 barche.
Dopo il Raz abbiamo visto che mare hanno incontrato e vi assicuro che su quei toboga anche la manovra più banale diventa faticosa, pericolosa e difficile. Insomma c’erano tutte le condizioni per una debacle di proporzioni cosmiche, condita da ritiri (ricordate il 2011?) rotture gravi o ritardi in classifica fantozziani ed invece…
Tra i tanti ritiri non uno ha interessato i nostri e quanto alle loro posizioni, valutiamole attentamente.
Avete presente una finale olimpica dei 10.000 metri? Negli ultimi giri generalmente la muta degli africani riesce a doppiare più di un corridore, in genere dalla pelle più chiara. Lo spettatore poco esperto potrebbe obiettare: ma chi sono quei tapascioni?
Ed invece non ci si rende conto che si tratta comunque di fior di corridori capaci di tenere per quasi mezz’ora una velocità di crociera che un comune mortale reggerebbe per non più di 200-300 metri, capita l’antifona?
Hanno affrontato avversari che quel canovaccio lo conoscevano alla perfezione, dato che l’uscita dalla baia di bolina verso il Raz l’avevano già affrontata, oltre che nei MAP, anche nei MiniFastnet 2011 e 12, corsi sulla rotta meridionale.
Tutti hanno tenuto una posizione nel gruppo che poteva esprimere grandi recuperi, come stava cominciando a fare Iacopini.
Mi permetto di fare una sottolineatura per la performance di Fornaro che ha portato il suo Pogo 1 come meglio non si sarebbe potuto. Quanto alle determinazione ed alla irriducibile forza di volontà ho appena saputo che Federico Cuciuc, grazie all’intervento dell’onnipresente Pedote, ha già organizzato il trasporto di 556 via terra a La Corunha. Che dire di più? Forza che avete preso la misura agli atlantici ed alle vostre barche…

Spulciando quà e là ho notato la bella gara di Jerome Lecunà.
Il marinaio di La Ciotat, già protagonista di un’attraversata atlantica in Cocò, nel 2008 era stato protagonista di un debutto sui Mini da fantascienza, arrivando quarto, davanti ad Apolloni, alla difficilissima Azzorre di quell’anno. Problemi di budget gli avevano impedito di farsi valere alla Transat del 2009 ma aveva confermato la sua classe e la sua mancanza di mezzi tornando a vela dal Brasile. Ora ci riprova e quando la regata si è fatta dura non ha perso la scia dei ragazzini ben pasciuti e sazi di miglia in regata dei rinomati centri atlantici. Ecco uno per cui fare il tifo….
Molto bello è stato anche il recupero di Annabelle Boudinot, sulla barca 791 costruita in fibre di lino.
Urtata malamente in partenza da Craig Horsfield è rientrata in porto, ha perso parecchie ore a riparare, con la spada di Damocle del peggioramento del meteo sulla testa ed una volta ripartita ci ha messo un Amen a riagganciare il gruppo ed a scalare posizioni su posizioni.  Da rivedere…
David Genest è la dimostrazione vivente dell’importanza di una preparazione calibrata sui quadranti più settentrionali del continente. Lo ricordo al Grand 8 del 2009 come uno dei tanti, con molta curiosità, gli occhi sognanti e pochi risultati.
Due stagioni di regate solo atlantiche e l’Azzorre 2012 lo hanno secondo me trasformato ed il suo Dingo 1 è sempre rimasto nelle prime 20 posizioni, come la prima della barche di Serie di vecchia generazione, salvo naturalmente i P2. Credo che quella sia la via da seguire e spero ardentemente che qualche candidato italiano alla Transat 2015 si stia organizzando per essere a Les Sables ad Agosto…

Ed abbiamo trovato forse il Lull del 2013.
Richard Hewson, dopo avere incrociato senza infamia e senza lode le regate spagnole ed italiane, ha corso in Atlantico solo il MAP, è scomparso fino ad oggi, proprio come fece l’indimenticato “ingegnere in cacao” (mai capito cosa volesse dire!) Eric due anni fa ed ora stava facendo il colpaccio.
Il suo RG650,sebbene a vederlo in banchina non trasudi cattiveria, come fa per esempio l’Argo 650, si era già capito che fosse una macchina da bolina notevole, ma dimostrarlo ai danni dei migliori P2 e Nacira esistenti sulla faccia della terra è altra storia.
Ed ora qualcuno dei ritirati della prima ora potrebbe rientrare in gioco,portando affannosamente la barca in Spagna via terra. Ne saremmo felicissimi,per Lizancos,sul vecchio Speedy Bonsai che sentiamo ancora un pò come nostro, per il belga Bossyns,con le ali tarpate dopo sei anni di preparazione da una banalissima rottura del fiocco ed anche per Stanislas Maslard.
Dico la verità con quest’ultimo sono un po’ (benevolmente) arrabbiato. In una recente intervista affermava che, dato che molti ottimi velisti che provengono dalle classi olimpiche o da prestigiosi Team, preferiscono correre sui Serie, per potersi concentrare solo sull’allenamento e le regate, senza perdere troppo tempo nei cantieri, si dovrebbe proporre solo UNA classifica per tutte le barche, Proto o Serie che siano.
L’idea gli sarebbe venuta per tutelare un ipotetico, favoloso “esprit mini” impregnato di lavoro indefesso in cantiere per affinare soluzioni personali, spirito di collaborazione ed emulazione tra i concorrenti. Peccato che la proposta venga fatta da un super professionista che lavora nel team di Boissieres, ha un cantiere a disposizione per soddisfare le sue ubbie tecniche, e tanto tempo e tanti soldi a disposizione.
Se avesse ragione lui i primi posti sarebbero perennemente appannaggio dei soliti tre-quattro Mini di ultimissima generazione…
Chissà che durante le due volte in cui è stato costretto a rientrare in porto, con pezzi del suo violino fuori fase, non ci abbia ripensato… comunque un augurone anche a lui di poterlo vedere alla partenza.
Ed ora armiamoci ancora di pazienza per l’ormai consueto accendersi e spegnersi delle luci del semaforo…
(da www.classemini.it di Stefano Paltrinieri)

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