giovedì 29 aprile 2010

VELA - DINGHY - Trieste, 17/18 aprile - TROFEO TRELEANI


La prima nazionale dell’anno, sceglie come sede la città giuliana. Le previsioni meteorologiche dei giorni precedenti sono abbastanza rassicuranti ed attendibili. Sono previsti, sole, pioggia, coperto, sereno, vento da nord, sud est e ovest e…bonaccia. Devo dire che, gli aruspici romani rano sicuramente più attendibili dei metereologi moderni. Si potrebbe banalizzare dicendo che non ci sono più le mezze stagioni, che è colpa dell’effetto serra ma il giorno che mi “intivano” una previsione, offro da bere a tutti… Dimenticavo… Questa volta è anche colpa delle ceneri del vituperatissimo vulcano Islandese Eyjafijallajokull….
Arrivo sabato mattina ed armo il mio legno. Trovo tutti i vecchi amici con qualche importante defezione. Guardo il mare, le colline sopra Trieste e capisco che la bora che sta soffiando deve essere veramente forte. Barche in acqua si esce. Appena fuori dalle litoranee capiamo con chi abbiamo a che fare. Il mare si increspa quasi subito e rafficoni di bora ci arrivano alle spalle. Si perché il campo di regata si trova praticamente …in Albania.
Ci fanno correre infatti ben oltre il vallone di Muggia, in acque, credo slovene, in quanto, da quel che mi è dato capire davanti a Trieste c’è qualche problema di traffico navale mercantile.
La poppa con una bora intorno ai venti nodi è incredibile. Ma il momento più “divertente” è quando passiamo tra due dighette foranee con rafficoni discendenti e mare incrociato.
Devo dire che ho capito cosa prova il cow boy di un rodeo quando sta per uscire dal box in groppa ad un toro infuriato. Comunque arriviamo alla linea di partenza…
Arriviamo è una parola grossa in quanto più di un dinghy fa ammirare la sua chiglia ai membri del comitato di regata tanto che veniamo “ricoverati” in attesa di tempi migliori in una baietta al confine con la Slovenia dove , buttiamo giù le vele e facciamo campeggio…nautico.
Se c’erano costicine vino e focherello era tutto perfetto. Dopo un attesa abbastanza lunga il Comitato di regata ci fa tornare alla partenza. I nodi sono da dodici a quattordici..
Quella dei nodi è una battaglia senza storia. Se quelli erano quattordici nodi io sono alto biondo e
prestante. Quindi non erano quattordici nodi.
Partenza, regata, qualche ulteriore scuffia, fino ad una poppa finale con rafficoni che ti fanno capire chi comanda chi…nel senso che tu sei a bordo di una barca che va per i fatti suoi e che ogni tanto ti permette qualche correzione di rotta. Ogni tanto…
Mi salvo, torno a terra e leggo che il reporting della giornata parla di bora da venti a trenta nodi con l’anemometro di una barca appoggio che “narra” di diciotto costanti con raffichette a venticinque… Troppo per me, troppo per tutti.
Mi trascino dall’Adriaco all’albergo e svengo dentro ad un idromassaggio.
Vengo salvato da una coppia di inglesi che mi rianima solo per sapere dove sono le towells.
Scappano via perché devo avere la stessa espressione di quando ho fatto l’ultima strambata…
La mattina dopo guardo titubante il cielo. Pioviggina, e la bora sembra resistere.
Se continua così carico la barca e vado allo skate park con mio figlio.
Al barche in acqua c’è un entusiasmo generale, condito da molti che se ne vanno alla spicciolata.
Massimo Schiavon gira con la flebo di aulin, alcuni sono felici di aver provato la loro vela nuova con la termichetta del giorno prima, ma la maggior parte dei regatanti, inguainati da stagne, mute e cerate varie prende il largo.
Si teme un’altra giornata dura ed invece prima con un leggero borino, poi con uno scrirocchetto gradevole si riesce a partire e riusciamo anche a prendere il sole.
Le regate dicono vittoria per Jannello, secondo posto per Paco Rebaudi e terzo per Michel. Ma la cronaca la lascio ad altri, sottolineando comunque l’ottimo risultato della flotta adriatica con Brazzo in testa. La premiazione ci regala una mini estrazione di liquori Luxardo e un gradevole buffet Non è andata male, nel complesso, anche se i Dinghy sono imbarcazioni difficili ed i dinghisti regatanti ancora più complessi degli altri.
Qualche ombra sul comitato, forse poco avvezzo al popolo dei dinghy con un percorso per raggiungere il campo di regata di cinque o sei miglia e, forse, il fatto che con quel vento era meglio stare a terra… Sull’organizzazione dell’Adriaco qualche mugugno. Per carità un apprezzabile sistemazione a terra, un agevole discesa in acqua, ma un campo di regata troppo lontano.
E, sinceramente qualche piccola attenzione è mancata. A chi, come molti di noi si ricorda le discese in acqua di Palermo, Napoli, Varazze.., solo per citarne alcune, dove forzuti addetti aiutavano i regatanti.
E che i dinghisti fossero tosti se ne sono accorti tutti all’Adriaco. Molti quando hanno visto la bandiera nera ad una partenza di dinghy non credevano ai loro occhi (vari regatanti sopra i 60 anni di età ed alcuni sopra i 70 n.d.r.) Vecchietti siamo, ma terribili.
Sabato 17: un’ora e mezzo d’indiavolata impoppata per arrivare a prendere il via, praticamente in Slovenia (…esageratamente lontano!). Solo otto scafi non sono scesi a mare (in parte per prudenza ed in parte per non spaccare in due i vecchi scafi); con una bora di 12 m/s (ed anche di più) - qualcuno dice boretta - i dinghisti hanno dimostrato che quando il gioco si fa duro…barche e timonieri danno il meglio! Comunque, sette ore in acqua, in quelle condizioni non è da tutti. Favolosa, come sempre, Francesca Lodigiani; più che mai la “leonessa del Tigullio” è stata forte e combattiva, così come l’inossidabile napoletano Ugo Leopaldi (25.17.6) 13° in classifica finale e… un’età without limit.
(by "elleaz")

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