sabato 11 aprile 2015

Matteo Miceli - ECO40 - Si torna a casa


2015_04_08 ore 20.00 UTC -   Siamo in aereo lungo la strada del ritorno. Siamo riusciti a salire all'ultimo momento sul volo Alitalia Rio de Janeiro - Roma, grazie a Tullio Picciolini, membro del nostro gruppo che oltre ad essere tecnicamente molto preparato è stato anche un grande compagno di viaggio. La nostra avventura volge al termine dopo aver navigato per circa 1500 miglia nell' Oceano Atlantico alla ricerca di ECO 40.  In questa ultima puntata del diario da terra provo a completare, sulla base degli elementi che ho a disposizione, alcuni aspetti rimasti in sospeso.




A) Perchè il tracking ha smesso di funzionare ?



Ovviamente non lo sappiamo. Le ipotesi possibili che ci sono venute in mente sono:

1. le batterie del tracking si sono esaurite;

2. Eco40 è stata colpita da una nave;

3. a bordo si è sviluppato un incendio;

4. il tracking è stato strappato via dalle onde.



E' estremamente difficile valutare probabilisticamente queste ipotesi. Ritengo poco probabili, anche se non da escludere, le ipotesi 2 e 4. Per quanto riguarda l'incendio ne ho parlato con Marco Bianucci il quale ritiene che, anche se poco probabile, un eventuale incendio possa essere attribuibile alle batterie al piombo che producono idrogeno. Rimane l'ipotesi 1 per la quale propendiamo un po tutti noi.

Se ECO40 dovesse arrivare in costa, le "Pilot Chart" del Sud Atlantico indicano in prossimità dell'Equatore la presenza di una corrente diretta mediamente durante l'anno verso l'America del Sud. Evidenzio comunque che poco a nord dell'equatore le stesse "Pilot" mostrano per alcuni mesi dell'anno una corrente diretta in verso contrario, ovvero verso l'Africa.  

Utilizzando i dati del tracking risulta che Eco 40 in circa 18 giorni di navigazione alla deriva nell'Atlantico del sud, dal 13 al 30 marzo 2015, ha percorso circa 230 miglia ad una velocità media di circa 0,5 nodi.  Con riferimento all'immagine allegata, ha prima scarrocciato verso nord-est per circa 30 miglia, per poi scendere mediamente verso sud percorrendo una "S". Il percorso seguito da ECO40, diverso rispetto a quello possibile in base alle correnti indicate delle Pilot, sembra simile alla direzione delle onde che hanno interessato nell'ultimo periodo il paraggio dove si trovava ECO40.

Allego una carta dove sono indicati i way point e le rotte utilizzati per la ricerca di Eco40.



B) Perchè ECO40 si è rovesciato ?



Eco 40 si è rovesciato perché ha perso la deriva e il bulbo che si sono staccati dallo scafo a causa di un urto. Era nostro obiettivo, recuperando ECO40, accertare le modalità del distacco della deriva. Purtroppo ciò non è accaduto a causa delle ragioni che conoscete.

Come considerazione generale, sicuramente possiamo affermare che i progettisti, Sito Aviles Ramos e Giulio Ricci, hanno ideato una barca veloce per cercare si stabilire un record. Una barca veloce è anche al limite del peso consentito. Ripeto che anche se sembra paradossale la sicurezza di una barca oceanica che corre intorno all'Antartide è anche legata alla sua velocità che le consente di "scappare" alle onde, come ho avuto modo di scrivere in queste pagine del diario da terra. In seguito all'urto, qualche cosa a bordo ha ceduto dopo circa 30.000 miglia di navigazione (25.000 miglia relative al giro e 5.000 miglia di preparazione in Mediterraneo). Tenendo conto che mediamente una barca a vela percorre non più di 1500 miglia all'anno, è come se l'incidente fosse accaduto dopo circa 20 anni di navigazione di una barca normale.

Purtroppo allo stato attuale sulle cause dell'incidente non siamo in grado di dire di più.



C) Come pensavamo di recuperare ECO40.



Vi allego il progetto di recupero di ECO40 che ho sviluppato prima di partire con il Prof. Noli e con l'Ing. Andrea Sanzone della Modimar e con Alessandro Romano ricercatore della Sapienza. Il progetto si basava sull'ipotesi di albero integro e di evitare, per ragioni di sicurezza, che ci fossero sub in acqua durante la fase di raddrizzamento. Il progetto prevedeva che al pallone fosse collegata una carrucola unidirezionale per evitare che la barca si potesse capovolgere di nuovo una volta raddrizzata. In seguito con Paolo Sperduti, subacqueo professionista appartenente al nostro gruppo, avevamo comunque valutato che il raddrizzamento lo avesse potuto fare lui più velocemente gonfiando il pallone di spinta da 500 l direttamente sott'acqua dopo averlo assicurato alle crocette. Il pallone, portato dall'Italia, si gonfia mediante una frusta che viene collegata all'attacco a bassa pressione del primo stadio dell'erogatore.

La fase più critica del recupero è sicuramente quella relativa allo svuotamento della barca dopo averla raddrizzata. Infatti in quel momento la barca piena d'acqua possiede una scarsa stabilità al rollio. Una volta svuotata mediante una pompa con motore a scoppio, e stabilizzata con i ballast di bordo che hanno una portata complessiva di 1500 litri di acqua, avevamo pensato ad una possibile ulteriore stabilizzazione utilizzando dei serbatoi di plastica da collegare alla barca mediante fettucce.

Ovviamente durante la navigazione avevamo valutato anche soluzioni alternative ad esempio come operare nel caso in cui l'albero o il sartiame si fossero rotti.



Concludo questo giornale da terra augurando a tutti buon vento e ringraziando, anche a nome di Matteo, tutti coloro che hanno contribuito a portare a termine questa bella impresa e tutti coloro che l'hanno seguita con passione e interesse.



Per chi fosse curioso, inserisco nel sito di dipartimento alcune foto fatte a bordo del Tasmar II.



Buon vento

Paolo De Girolamo 





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