2015_04_08 ore 20.00 UTC - Siamo in aereo lungo la strada del ritorno. Siamo riusciti a
salire all'ultimo momento sul volo Alitalia Rio de Janeiro - Roma, grazie a
Tullio Picciolini, membro del nostro gruppo che oltre ad essere tecnicamente
molto preparato è stato anche un grande compagno di viaggio. La nostra
avventura volge al termine dopo aver navigato per circa 1500 miglia nell' Oceano
Atlantico alla ricerca di ECO 40. In questa ultima puntata del diario da terra provo a completare,
sulla base degli elementi che ho a disposizione, alcuni aspetti rimasti in
sospeso.
A) Perchè il tracking ha smesso di funzionare ?
Ovviamente non lo sappiamo. Le ipotesi possibili che ci sono
venute in mente sono:
1. le batterie del tracking si sono esaurite;
2. Eco40 è stata colpita da una nave;
3. a bordo si è sviluppato un incendio;
4. il tracking è stato strappato via dalle onde.
E' estremamente difficile valutare probabilisticamente queste
ipotesi. Ritengo poco probabili, anche se non da escludere, le ipotesi 2 e 4.
Per quanto riguarda l'incendio ne ho parlato con Marco Bianucci il quale
ritiene che, anche se poco probabile, un eventuale incendio possa essere
attribuibile alle batterie al piombo che producono idrogeno. Rimane l'ipotesi 1
per la quale propendiamo un po tutti noi.
Se ECO40 dovesse arrivare in costa, le "Pilot Chart" del
Sud Atlantico indicano in prossimità dell'Equatore la presenza di una corrente
diretta mediamente durante l'anno verso l'America del Sud. Evidenzio comunque
che poco a nord dell'equatore le stesse "Pilot" mostrano per alcuni
mesi dell'anno una corrente diretta in verso contrario, ovvero verso l'Africa.
Utilizzando i dati del tracking risulta che Eco 40 in circa 18
giorni di navigazione alla deriva nell'Atlantico del sud, dal 13 al 30 marzo
2015, ha percorso circa 230 miglia ad una velocità media di circa 0,5
nodi. Con riferimento all'immagine
allegata, ha prima scarrocciato verso nord-est per circa 30 miglia, per poi
scendere mediamente verso sud percorrendo una "S". Il percorso
seguito da ECO40, diverso rispetto a quello possibile in base alle correnti
indicate delle Pilot, sembra simile alla direzione delle onde che hanno
interessato nell'ultimo periodo il paraggio dove si trovava ECO40.
Allego una carta dove sono indicati i way point e le rotte
utilizzati per la ricerca di Eco40.
B) Perchè ECO40 si è rovesciato ?
Eco 40 si è rovesciato perché ha perso la deriva e il bulbo che
si sono staccati dallo scafo a causa di un urto. Era nostro obiettivo, recuperando
ECO40, accertare le modalità del distacco della deriva. Purtroppo ciò non è
accaduto a causa delle ragioni che conoscete.
Come considerazione generale, sicuramente possiamo affermare che
i progettisti, Sito Aviles Ramos e Giulio Ricci, hanno ideato una barca
veloce per cercare si stabilire un record. Una barca veloce è anche al limite
del peso consentito. Ripeto che anche se sembra paradossale la sicurezza di una
barca oceanica che corre intorno all'Antartide è anche legata alla sua velocità
che le consente di "scappare" alle onde, come ho avuto modo di
scrivere in queste pagine del diario da terra. In seguito all'urto, qualche
cosa a bordo ha ceduto dopo circa 30.000 miglia di navigazione (25.000 miglia
relative al giro e 5.000 miglia di preparazione in Mediterraneo). Tenendo conto
che mediamente una barca a vela percorre non più di 1500 miglia all'anno, è
come se l'incidente fosse accaduto dopo circa 20 anni di navigazione di una
barca normale.
Purtroppo allo stato attuale sulle cause dell'incidente non siamo
in grado di dire di più.
C) Come pensavamo di recuperare ECO40.
Vi allego il progetto di recupero di ECO40 che ho sviluppato
prima di partire con il Prof. Noli e con l'Ing. Andrea Sanzone della Modimar e
con Alessandro Romano ricercatore della Sapienza. Il progetto si basava
sull'ipotesi di albero integro e di evitare, per ragioni di sicurezza, che ci
fossero sub in acqua durante la fase di raddrizzamento. Il progetto prevedeva
che al pallone fosse collegata una carrucola unidirezionale per evitare che la
barca si potesse capovolgere di nuovo una volta raddrizzata. In seguito con
Paolo Sperduti, subacqueo professionista appartenente al nostro gruppo, avevamo
comunque valutato che il raddrizzamento lo avesse potuto fare lui più
velocemente gonfiando il pallone di spinta da 500 l direttamente sott'acqua
dopo averlo assicurato alle crocette. Il pallone, portato dall'Italia, si
gonfia mediante una frusta che viene collegata all'attacco a bassa pressione
del primo stadio dell'erogatore.
La fase più critica del recupero è sicuramente quella relativa
allo svuotamento della barca dopo averla raddrizzata. Infatti in quel momento
la barca piena d'acqua possiede una scarsa stabilità al rollio. Una volta
svuotata mediante una pompa con motore a scoppio, e stabilizzata con i ballast
di bordo che hanno una portata complessiva di 1500 litri di acqua, avevamo
pensato ad una possibile ulteriore stabilizzazione utilizzando dei serbatoi di
plastica da collegare alla barca mediante fettucce.
Ovviamente durante la navigazione avevamo valutato anche
soluzioni alternative ad esempio come operare nel caso in cui l'albero o il
sartiame si fossero rotti.
Concludo questo giornale da terra augurando a tutti buon vento e
ringraziando, anche a nome di Matteo, tutti coloro che hanno contribuito a
portare a termine questa bella impresa e tutti coloro che l'hanno seguita con
passione e interesse.
Per chi fosse curioso, inserisco nel sito di dipartimento alcune
foto fatte a bordo del Tasmar II.
Buon vento
Paolo De Girolamo
Nessun commento:
Posta un commento